Che calcio sarebbe senza bidoni? | Contrasti

Che calcio sarebbe senza bidoni? | Contrasti

Alcuni giocatori sono persone come noi.

Il calcio ha il suo carattere nei grandi giocatori e nelle loro partite più sorprendenti: tocchi di palla, ringhi, goal, interventi difensivi tengono gli occhi sulla palla. Siamo attratti magneticamente da questa sfera difficile da controllare che rotola dentro di noi da quando abbiamo iniziato a misurare il mondo. Si parte in tenera età, a volte ancora in termini incerti, ma consapevoli di ciò che si vuole.

Vediamo i nostri preferiti in piazza e un giorno sogniamo le nostre azioni in uno stadio pieno di gente che urla il nostro nome. Crescendo, forse dopo le prime esperienze nelle scuole calcio, però, iniziamo a renderci conto che questo sport non vende sogni gratis e che i maestri che vediamo in televisione provengono da un pianeta a me inaccessibile.

Comprendiamo che esiste un oceano di intenzioni tra pensiero e azione che è potenzialmente persistito a causa di limitazioni fisiche o mancanza di talento. Lo notiamo un po ‘alla volta, allenamento dopo allenamento, sabato pomeriggio in una partita con altri coetanei nel campo vicino alla chiesa o nella piazza del quartiere, dove le porte sono alberi. Forse è a questo punto della storia che il nostro sguardo sul calcio iperurano inizierà a cadere su chi non è campione: meglio ancora, nel cestino.

Tra De La Pena, Mendieta e l’ultimo fuoriclasse Vedat Muriq, la Lazio è sempre stata una fucina di cassonetti (Marco Rosi – SS Lazio / Getty Images)

Ci appassioniamo alle storie di coloro che non raggiungono il livello degli altri e che sembrano in qualche modo sbagliarsi in una sinfonia perfetta. Si leggono segnali sconvolgenti dai recinti sportivi, come il Quartetto in quattro del Napoli William Prunierini dopo aver chiuso Roma-Napoli 6-2, ma soprattutto il suo giudizio: “Balbo lo fa arrossire prima che Candela lo colpisca”. Quel giorno, oltre ad essere accoltellato da Candela, l’Olimpico ha anche un cartellone, come quello di Massimo D ‘, per il tre a zero di Balbo (quel giorno fa una tripletta). Alema si alza dal podio, mai così brava.

Leggendo le opinioni dei giornalisti, rivedendo le foto, siamo, in un certo senso, parte della disgrazia del povero Prunier. Ne ridiamo e forse lo insultiamo, ma rivediamo le nostre idee sbagliate su di lui.

Rivediamo il nostro imbarazzo in mezzo al campo contro un avversario troppo forte, faremo rivivere la giornata in cui il ragazzino venuto da un altro quartiere per giocare per il nostro campo ci ha beccati con la palla.

In memoria del povero William Prunier, che viveva nell’Olimpo dei rifiuti

La nostra percezione del calcio cambia quando ci rendiamo conto che i giocatori non sono robot, e spesso chi calcia il pallone per mestiere può capitare di essere fuori posto. Come se lo sconsiderato Gaucci Perugia stesse pensando di trovare la lancia d’attacco affidata a Serse Cosmi nelle mani dell’attaccante iraniano Ali Samereh. Così è stato presentato il persiano Inzaghi.

Il 26 agosto 2001, quando scese in campo nella prima partita di campionato contro il San Siros Inter, non c’era altro che un pallone rosso che colpì senza forza contro i nerazzurri Materazzi e Cordoba. La partita si chiude con l’Inter 4: 1, il gol di Grifo è segnato dal greco Vryzas. Samereh? Non poteva. Troppo leggero, troppo isolato, troppo lontano dal livello dei giocatori di Héctor Cúper e troppo lontano dai compagni. Insomma, tutto troppo.

Nonostante un corretto seguito, il bomber Samereh sembra ovviamente inadatto alla Serie A. Dopo questo debutto non ci sarà nessun riscatto, ma solo una croce di cristallo composta da clip di gioco e culminante in un incrocio culminato in una stazione finale: un aeroporto per il rimpatrio forzato ai campionati finali. Il nome di Samereh viene subito dimenticato, le tracce scompaiono: rimane solo il suo soprannome persiano Inzaghi a ricordo dell’errore collettivo. Per ricordare come la sua parabola assomigli a qualcosa che molti hanno provato almeno una volta nella vita.

Sembra di essere nella formula: che si tratti di venire in una nuova scuola, di un’esperienza lavorativa che tradisce immediatamente le aspettative, o di partecipare a una storia sentimentale che guida l’acqua fin dal primo bacio.

Assomiglia un po ‘a Samereh, che combatte come muli senza riuscire a invertire l’inerzia degli eventi. Nonostante il loro impegno, pur avendo una varietà di esperienze, pur credendo di essere pronti, questo è un tassello.

Ma ci sono momenti in cui non vogliamo misurarci con una realtà che non ci piace, vorremmo scomparire, scappare, facendoci perdere delle tracce. Come Johnnier Montaño, il nano colombiano era abile quanto la palla ai suoi piedi è improvvisamente scomparsa, perdendosi nel suo paese d’origine, la Colombia. Tuttavia, a Johnnier non mancava il talento. Raggiunta la maggiore età, è uscito con la maglia del Parma ed è riuscito addirittura a segnare un bel gol in Coppa Uefa con il PSV.

Non la bruscolina. Poi il prestito “allenamento” di Alberto Malesan per mantenere Mutu e Camoranes a Verona e la sua prima fuga. È la vigilia di Natale del 2001, un colombiano in vacanza in Sud America, ma poi perde le impronte. Il giocatore non può più essere contattato nemmeno con il cellulare e due piloti del Parma sono costretti a volare in Colombia per cercarlo. Per riportarlo in Italia, devono cercarlo, come fanno con i criminali, perché Montaño mostra anche una certa fantasia quando crea vie di fuga.

Prima usa la copertura di un amico meccanico per smaterializzarsi, poi usa le scale antincendio della casa della sua ragazza per impedire l’intervento di due maldestri agenti del Parma arrivati ​​sul posto. Un anno dopo, sempre per Natale, un colombiano fugge a Piacenza. Questa volta però, visto il rapporto costi-benefici, il Parma non potrà cercare un giocatore che tornerà spontaneamente in Emilia per comodità. Inutile dire che la sua carriera in Italia finisce qui e che in futuro ci saranno solo squadre meno esigenti in Sud America, Qatar e Turchia.

Luciano Gaucci, presidentissimo di improbabili successi di mercato (e trash).

La traiettoria della sua parabola lascia un messaggio di disobbedienza alla moderna logica del lavoro, agli obblighi professionali e agli obblighi trasferiti da un contratto firmato. Il giovane Montaño esegue il ludismo moderno. Incapace di raggiungere fisicamente la struttura degli uffici italiana, che lo opprime con regole ferree, tenendolo lontano dalla sua terra natale, decide di prenderlo in giro, scomparendo quanto vuole. Follia? Decisamente. Ma anche l’urlo ruggente che molti di noi sognano, in modo da poter correre la vita attraverso il trambusto delle stazioni ferroviarie e della metropolitana tra stand luminosi e scrivanie con pareti di vetro.

Il calcio, uno sport in generale, è pieno di storie come Montaño, Samereh e Prunier, e forse nemmeno la più originale. Questi sono degli esempi: ci mostrano come nel calcio – e nello sport – sogni i campioni, ma provi empatia per chi non l’ha fatto.

Nelle file dei “vinti” che hanno accumulato più fallimenti che successi, perché ci vediamo in loro. Nelle loro facce sbalordite, nelle loro smorfie, guardiamo alle nostre piccole o grandi perdite. Dai tempi della scuola, quando quell’insegnante di greco e latino ci ha regalato 4, come se fossero caramelle; alla piazza dove il nostro migliore amico ci ha fatto morire per il gocciolio e lo scherno delle gallerie; durante i primi amori, quando non si impressionava la ragazza più ambita, si doveva ricorrere a un’amica meno amata.

Se il nostro capo non ci piace e fa tutto il possibile per metterci a disagio, se ci capita di vivere situazioni imbarazzanti a livello economico o familiare, che vogliamo lasciare, sul posto, sparire da qualche parte, perdere le tracce, a almeno per un po ‘. Ce n’è molto nei bidoni della spazzatura, trovano il nostro processo di identificazione, identificazione con un altro.

Siamo sulla piazza di Samereh, se non riesce ad avvicinarsi mai al portiere avversario, siamo compagni di schiena di Prunier quel giorno, se lui non è altro che una “antica diga forte e statica” (un’altra è stata trovata da giornalisti senza cuore), noi Sei su un aereo del Montaño mentre vola a Cal. Siamo con loro e con quelli come loro che finiscono per essere stupidi, e soprattutto perché stare dalla loro parte è la scelta esatta della piazza. È sul retro del volante che scricchiola l’attrezzatura che vuole essere perfetta, con un tenore che si blocca in un momento da solista, un cameriere che si capovolge alla festa di matrimonio. È con l’umanità. Questo è un famoso avvertimento del fumettista Gippi:

“Succhiare in una società che richiede l’eccellenza è uno specifico obbligo morale”.

Francesco Andreose è il fondatore e l’autore del sito. Non chiamateli provinciali