Il calcio è diventato noioso | Contrasti

Il calcio è diventato noioso | Contrasti

La meccanica del gioco ha catturato l’intuizione dell’individuo.

Mentre Agnelli e compagnia fanno fatica a trovare una soluzione alla scarsa capacità di attenzione della Generazione Z, anche quei vecchi fan cresciuti a pane e calcio iniziano a stancarsi del gioco sempre più noioso. L’esperienza dello stadio, uno dei pochi piaceri e sfoghi settimanali rubateci dalla pandemia, è riuscita a insabbiare – chissà come – tutta quella stupefacente ma ripetitiva ricerca tattica che è l’unico vero motivo per interessarsi allo sport oggi. .

Per spingere fino in fondo questo pensiero, si potrebbe anche dire che il calcio di oggi è un sogno proibito dei nerd: un laboratorio di idee tattiche, movimenti senza palla e costruzioni ardite dal basso che, in pubblico, passerebbero in secondo piano. Riesci a vedere i portieri giocare in un piccolo spazio con il fiato dei tifosi sul collo? Riesci a vedere la squadra dribblare nella propria metà campo per cinquanta minuti di fila senza ricevere un’ironica ovazione dalla curva? Qualunque sia la risposta contraria a queste domande, il risultato finale rimane: questo calcio è noioso, si ripete, identico a se stesso. Ma la nostra impressione non è semplice: i fatti lo confermano.

ALLENAMENTO TUTTO L’ANNO

ALLENAMENTO TUTTO L’ANNO

Da un punto di vista sperimentale e osservativo, la ricerca tattica del gioco del calcio, coronafootball presenta ai professionisti – analisti di partita, giornalisti, allenatori, commentatori televisivi un’opportunità unica nella storia di questo sport. Il calcio senza tifosi è puro calcio, ma è difficile dire fino a che punto sia lo stesso sport che abbiamo sempre conosciuto. In altre parole, il calcio a porte chiuse dal punto di vista tecnico non è altro che un esercizio. Il risultato è visibile sotto gli occhi di tutti: senza i tifosi, la partita ricorda l’allenamento in tutto.

Certo, le divise delle due squadre non sono diverse dalla sala da pranzo fluo, stampa e televisione partecipano comunque all’evento sportivo dandogli un tono ufficiale, ma agli occhi dello spettatore qualcosa è fuori posto. Non solo per loro, ad essere onesti. Nel nostro campionato ci sono Jordan Veretout che ha sottolineato questo aspetto (le partite a porte chiuse sembrano essere allenamenti), lo straniero Kramer (non sembrano essere partite reali) e Tony Kroos (si allenano), per citare solo tre esempi – quando il Bernabeu è stato chiuso per affari, l’attuale stadio di casa del Real (Di Stefano) sottolinea ulteriormente questa impressione.

Il gol di Tony Cross contro il Valencia, allo stadio / non stadio Di Stefano (Gonzalo Arroyo Moreno / Getty Images)

Il punto ovviamente non è sottolineare la nostra alienazione da questo calcio – lo abbiamo ripetuto più volte -, ma l’alienazione del calcio attuale per se stesso, sempre più noioso e miserabile: le partite che guardiamo in televisione sono grigie, ripetitive, a volte faticose. , difficile da seguire come ultima risorsa. Perché? Esistono dati a sostegno di questa opinione generalizzata?

La risposta potrebbe arrivare, ad esempio, dal numero di passaggi per partita analizzati nello studio Telegraph (maggio 2020) confrontati tra prima e dopo il coronafootball: sono quasi 50 i passaggi in più, con l’aggiunta di una leggera riduzione del combattimento. – un elemento emozionante per il pubblico: dai 33 ai 30. Quando oggi assistiamo ad una partita di calcio, abbiamo la netta impressione che stiamo assistendo ad una partita di scacchi, in cui l’intuizione dei giocatori (scacchi) lascia spazio alle idee di i loro allenatori (giocatori di scacchi).

Un altro dato interessante (aggiornato all’11 marzo 2021) è quello relativo al numero di pass totali. Considerando la nostra Serie A da campioni, è interessante notare che dei primi quattordici giocatori con il maggior numero di assist, nove difensori sono: Ferrari, Danilo, Bastoni, Di Lorenzo, Skriniar, de Vrij, Acerbi, Mancini, Ibanez.

Se è inutile continuare l’ormai quotidiana e ripetitiva discussione sul costruire dal basso – sarebbe comunque interessante capire come e fino a che punto si continuerebbe a costruire dal basso con il pubblico presente nello stadio – è più interessante provare a interpretare invece questi numeri.

Indubbiamente, il nuovo modo di giocare influisce sulla suddetta scala, ma sottolinea – a nostro avviso – come il gioco di oggi fondamentalmente (cioè quasi esclusivamente) si concentri sulla prima costruzione che attende la pressione dell’avversario per saltare. L’Inter, la capolista, gioca questa partita girando la palla tra i difensori finché non sono esausti; lo stesso accade per il Sassuolo (che gioca quattro giocatori), simili sono i casi della Lazio Simone Inzaghi e della Roma Fonseca (ma anche del Genoa di Ballardini; non è un caso che le tre squadre citate usassero spesso un centrocampista nei tre dietro).

Diverso il caso Atalanta e Verona, formazioni che, pur giocando tripli ritardi, sono state più sicure nel primo set, hanno verticalizzato più decisamente la partita senza perdersi in troppi passaggi – e quindi più piacevoli da vedere. Lo stesso vale per il Milan di Pioli, una delle squadre più divertenti d’Italia.

PERCHÉ NESSUNO RISCHIA PIÙ LA GIOCATA?

PERCHÉ NESSUNO RISCHIA PIÙ LA GIOCATA?

Passiamo ad un altro punto: perché nessuno rischia più una scommessa? Il piazzamento da dietro, infatti, mette sicuramente in pericolo difensori e portieri (ci sono anche tanti nuovi esempi), ma il loro “rischio” è il risultato di una certa partita, studiata e testata in allenamento: non c’è niente di geniale, niente di intuitivo nei loro gesti tecnici. Il loro rischio non viene dal coraggio, né dall’immaginazione, ma dalla meccanica.

Il gol di Lewandowski in Lazio-Bayern, frutto di un’errata costruzione dal fondo di Musacchi (Alexander Hassenstein / Getty Images)

Non solo il gioco si è stabilizzato, omologato, ma è diventato asettico, rendendo i giocatori più – più strumenti che idee di allenatori, che i loro geni creativi. Tutto questo, chiaramente, per sottolineare il nostro concetto di base: senza più tentativi di dribbling, tiri dalla distanza indimenticabili e partite superlative, il calcio diventa piatto, grigio, terribilmente noioso. Le partite si fanno sempre più simili: i lampi di genio sono rari nell’era dei krunofot. Ma tutto questo, ancora una volta, dipende sicuramente dall’assenza del pubblico.

Max Allegri ha spesso sottolineato che la differenza la fanno i singoli, ma in questo calcio gli individui contano molto meno. È interessante notare che da quando il coronafootball ha preso il potere, Allegri non ha più allenato la squadra di calcio. Ci manca la visione dell’ex tecnico bianconero perché, sotto le indubbie capacità tattiche che si nasconde sotto una psicologia di ferro e una sapiente comunicazione, il suo gioco era incentrato sui singoli, sulle loro caratteristiche: il gioco di Allegri non esiste – grazie a Dio – ma la squadra di Allegri.

Un abbraccio d’amore dei tifosi della Juventus verso Max Allegri (Giorgio Perottino – Juventus FC / Juventus FC via Getty Images)

Prendi il gioco di De Zerbia. L’armonia e il rigore della manovra del Sassuolo sottolinea senza dubbio un grande studio tattico e una grande organizzazione tra i reparti, ma toglie responsabilità ai singoli: non a caso uno come Jeremy God, il miglior dribblatore dell’anno scorso del nostro campionato, è finito in panchina più volte quest’anno .

A proposito di tentativi di dribbling, le prime dieci posizioni sono viste da De Paul, Messias, Spinazzola, Theo Hernandez, Boga, Iličić, Caprari, Chiesa, Ribery e Gervinho. Tutti i giocatori che con le dovute differenze incidono nel bene o nel male sul risultato finale della propria squadra (rendendoli determinanti). Il dribbling, detto scherzosamente, è ancora un elemento fondamentale del gioco, ma solo all’interno di un determinato gioco. Non a caso De Paul gioca nell’Udinese di Gotti, una delle squadre che abbiamo apprezzato di più quest’anno.

Più responsabilità si assume un individuo, più l’emissione aumenta. Meno un individuo deve correre dei rischi, più il gioco è livellato.

In tal senso il pubblico è fondamentale, perché con il suo calore può spingere un giocatore ad una partita decisiva, inaspettata, appena fuori dagli schemi. Il Coronafootball, d’altra parte, è fondamentalmente schematico, prevedibile e abitua i giocatori a correre sempre meno rischi. Lo dimostrano i dati sui tiri in porta. Dei 14 migliori giocatori con il maggior numero di tiri in Serie A, 13 sono attaccanti. O entri in porta con la palla o non corri il rischio. Altrimenti: il centrocampista che fa parte della classifica è Mkhitarjan, il giocatore che definisce il centrocampista è un eufemismo.

Junior Messias e Luis Alberto: classe e fantasia al potere (Paolo Bruno / Getty Images)

Da questi dati si ricava un insolito paradosso: le squadre rischiano la pelle quando si tratta di impostare le manovre, costruendo dal basso per cercare – e creare – spazio in mezzo al campo, ma una volta superata quella fase non rischiano più. Non rischiano dribbling, non rischiano un tiro dalla distanza, non cercano – quasi mai – un pallone lungo, elemento che il nuovo stream di calcio ha quasi dimenticato.

Le percentuali non lasciano spazio a interpretazioni: la squadra con il maggior numero di palloni lunghi in Serie A è l’Hellas di Jurić con il 34,2%. Quello con il numero più basso è l’Inter (12,5%). Il punto, ripetiamo, non è tanto nell’efficacia di un gioco sull’altro, ma nell’omogeneità della soluzione che si crea. Un centrocampista che passa la palla a cinque metri e in orizzontale deve certamente avere una buona tecnica, ma è sottoposto a una pressione molto inferiore rispetto a chi si prende il rischio e la responsabilità catturando un compagno di squadra a 40 metri di distanza.

In questo discorso l’ovvia assenza di pubblico gioca un ruolo fondamentale. Il gioco ripetitivo e asettico, che può facilmente rendere i fan impazienti, è quasi naturale in loro assenza.

Inter Antonia Contea, l’allenatore più dogmatico d’Italia (Marco Luzzani / Getty Images)

STRANO NON È BELLO

“I calciatori sono artisti. È come dire che i teatri possono funzionare senza che il pubblico presente guardi lo spettacolo. Beyoncé può certamente cantare a Wembley per chi è a casa davanti alla TV, ma senza 80.000 fan potrebbe eseguire la stessa performance, dando quell’elemento elettrico? Non puoi, senza un pubblico.

“Quando mi chiedono quali club e quali giocatori hanno fatto meglio senza pubblico, non posso fare nomi, ma è ovvio chi sono. Sono loro che subiscono la pressione, l’ansia per la prestazione. Sono loro che non possono giocare davanti ai tifosi perché non hanno la forza mentale per farlo. “(Gary Neville)

Oltre ad essere estremamente noioso, questo calcio è anche essenzialmente strano. Le televisioni, come dovrebbe essere, stanno inseguendo lo spettacolo, amplificando le performance più innocue, cercando l’eccezionalità degli eventi ad ogni costo – tuffiamoci! – e definendo partite avvincenti che invece – almeno a chi ha buon senso – lasciano l’amaro in bocca (se il Bayern 8-2 Barcellona ti ha esaltato, forse è il momento di chiamare un bravo psichiatra).

Il famoso illustratore italo-argentino Emilio Sansolini ha eseguito bene questo concetto illustrando un’incredibile serie di partite perse consecutive a casa del Liverpool Jurgen Klopp: modificando il famoso fascicolo di Anfield, Sansolini ha deciso brillantemente di rimuovere la “n”. Il risultato è un “Campo”, un campo. Perché Anfield è più di altri stadi, senza pubblico, semplicemente un “campo” di calcio.

Se quella sensazione di noia e piattezza, finalmente alienazione in un gioco che abbiamo sempre amato, viene nascosta e ignorata da chi nel mondo ha ogni bisogno di applaudire nel calcio, è interessante notare quanti calciatori e allenatori, almeno in Inghilterra, non perdere l’occasione di richiamare il pubblico negli stadi. Nel nostro calcio solo Claudio Ranieri ha ripetutamente ripetuto il suo dolore di allenatore ed ex giocatore al lavoro senza pubblico. D’altra parte, conosce bene l’Inghilterra. Cosa sarebbe successo all’impresa di Leicester ai tempi del coronafootball? Nient’altro che le statistiche registrate negli annali. Ci permettiamo di correggere la famosa frase di Sir Matt Busby: il calcio non è noioso senza tifosi.