Perché l’Italia non tiene conto di altri sport.
Il CONI distribuisce ogni anno fondi a ciascuna Federazione da destinare alle proprie attività. Nel 2018 e nel 2019 sono stati stanziati 145,88 milioni di euro per diverse federazioni. Il calcio porta a casa il 20,85% dei fondi e il resto è diviso tra le 43 federazioni rimanenti. La riforma dello sport e della salute 2020 ha rimosso il ruolo di fornitore di servizi dal Coni, mantenendolo solo per attività sportive e olimpiche di alto livello.
Il monopolio del calcio, invece, resta immutato, se non rafforzato, in quanto la distribuzione dei fondi sarà basata anche sul numero degli iscritti, punendo gli sport più di nicchia. La sfocata presenza del calcio non continuerà a lasciare spazio a tante altre realtà che non riescono ad emergere in piena visibilità destinata a quella disciplina. Un circolo vizioso che coinvolge i principali organi finanziari, mediatici e politici non può fare a meno delle prestazioni dei giocatori.
D’altra parte, una società globalizzata, soggetta all’economia, non può fare a meno del suo intervento. Il merito si ritira al secondo posto se la posta in palio è denaro e miliardi di euro. Il punto è che il calcio, da parte sua, finanzia molte altre discipline attraverso il proprio ingresso. Infatti, l’ex ministro dello Sport Spadafor ha dichiarato:
“Sarei un pazzo a demonizzare il calcio: so che genera fatturato e soprattutto paga le tasse allo Stato che gli permette di alimentare il fondo con cui finanziamo tutti gli altri sport”.
Secondo i dati condivisi dalla FIGC, nel 2017 il calcio ha fatturato 4,7 miliardi di euro, pagando tasse e contributi previdenziali per 1,2 miliardi di euro. Gli sport secondari come la scherma, quindi, davanti a questa slot machine per soldi, non hanno visibilità, nonostante le numerose medaglie vinte.
Il calcio in realtà monopolizza lo sport in Italia. Questi sono Aguero e Messi, medaglia d’oro alle Olimpiadi del 2008 (foto di Watanabe / Getty Images)
In “Current Modernity”, Bauman ha annunciato nella società postmoderna il deterioramento della schiavitù umana all’economia, sottolineando la priorità data alla concorrenza di mercato e la libertà illimitata concessa al capitale a scapito di tutte le altre libertà, che ha causato lo smantellamento della solidarietà. Quindi altre società, nonostante i risultati, si notano a malapena proprio a causa di questa mancanza di capacità competitiva nel mercato e della mancanza di sostegno reciproco.
Lo sport non è più un semplice concetto, una sede di valori e ideali, ma si è cristallizzato come una macchina in grado di creare miliardi di euro, diventando una delle più grandi industrie manifatturiere del mondo.
Pertanto, le federazioni più piccole dovrebbero essere inventate da un punto di vista aziendale. Il principale esponente del funzionalismo sociologico, Merton, ritiene che i sistemi all’interno della società abbiano una funzione ovvia, che è ufficialmente implementata e una funzione latente, inaspettata e non esplicitamente dichiarata. Pertanto, le piccole istituzioni sportive, cosiddette agli occhi del gigante economico del calcio, dovrebbero avere la monetizzazione dello sport come una funzione ovvia, che diventerebbe anche mezzo di funzioni latenti che a molti non sono visibili e che avrebbero un aspetto positivo. feedback in movimento.
L’avanguardia calcistica sta proprio nel fatto che il calcio ha compreso appieno la necessità di strutturarsi come azienda, detentrice del controllo mediatico e politico, che, letto nella prospettiva di Baumi, deriva semplicemente dalle caratteristiche costitutive della società postmoderna. Istituzioni e media, però, non sono esenti da colpe, in quanto responsabili dell’invisibilità nei confronti di altri sport, e si proiettano solo sulla base di attente notizie sul “gioco del calcio”.
Dare spazio ad altre fonti, stimolando il curioso interesse dei cittadini verso altre realtà, gioverebbe al tessuto sociale e all’attività economica nel suo complesso, rendendolo diversificato per reddito e investimenti, compresi settori precedentemente esclusi o poco considerati. L’egemonia del mainstream oscura tutto ciò che è sperimentale, poiché la maggior parte non lo condivide, ma la cecità di innumerevoli modi di risolvere il problema non dà a questi margini la possibilità di risaltare.
Valentina Vezzali, ora Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri incaricato dello sport, ha brandito una medaglia d’oro alle Olimpiadi di Pechino (Foto di Clive Rose / Getty Images)
La Legge sullo Sport 2018, che il CIO ha condannato come incostituzionale vista la Carta Olimpica, prevede la costituzione di una nuova società, Sport e Salute, dipendente dal Ministero dell’Economia, al posto di Coni Servizi. È stata questa stretta dipendenza dell’ente dal governo che ha costretto il CIO a storcere il naso, perché lo sport deve essere governato da “un’organizzazione autonoma e legittimamente indipendente governata principalmente dalla Carta Olimpica e dai suoi statuti”.
Questo magheggio all’italiana, però, non è passato inosservato agli occhi attenti di una superiore organizzazione sportiva che ha subito condannato e criticato la scelta politica nazionale ridicolizzando l’intera classe dirigente. Allora il denaro e il potere saranno sempre la causa e la condanna delle azioni sociali. Nella “società del rischio” di Beck, la produzione di ricchezza va di pari passo con la produzione economica e sociale del rischio.
Un errore nella riforma sportiva avrebbe un effetto riflesso per Beck, cioè riflettere i progressi nei costi o nell’eventuale danno involontario inflitto. I conflittuali direbbero che lo sport è un’arena all’interno della quale vari attori sociali, in questo caso federazioni, coni, CIO, si combattono per raggiungere i propri obiettivi e l’autoaffermazione. Una lettura critica della Riforma deve aiutare a prestare attenzione a questi movimenti, perché la posta in gioco è alta e lo sport stesso, rappresentato da atleti, associazioni sportive e semplici cittadini, paga errori e conflitti su interessi politici ed economici.